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Industria, sotto l’albero il nulla: un Natale di cassa integrazione

27.12.2017 14:01

ndustria, sotto l’albero il nulla: un Natale di cassa integrazione

Lavoro a singhiozzo in molti stabilimenti Fiat, il problema acciaio (Ilva, Piombino), esuberi e turni alla Perugina e accordicchio alla Melegatti. Il 2017 finisce male: 160 tavoli di crisi aperti
 

Non è un Natale sereno per molti lavoratori. Specie per chi lo passerà in cassa integrazione. Una situazione che interessa decine di migliaia di persone, solo nelle imprese italiane più famose e per poco non stava per coinvolgere anche i lavoratori della Melegatti, storica azienda di pandori, oggi in seria difficoltà. La crisi di liquidità e i 18 milioni di debiti stanno tenendo lo storico marchio veneto appeso a un concordato preventivo.

A ottobre, il rischio era persino quello di non confezionare nemmeno un pandoro per questa stagione. Una campagna sui social ha poi permesso di ripartire il 20 novembre per produrre un milione e mezzo di dolci, ma poi le linee sono state spente di nuovo: il 15 dicembre un nuovo accordo ha riacceso ancora una volta lo stabilimento, nel quale sono già in preparazione le colombe pasquali. La situazione è per ora migliorata, ma i rischi sono dietro l’angolo.

I numeri. L’utilizzo della cassa integrazione guadagni in Italia è in discesa, anche perché il Jobs Act ne ha limitato la durata massima. A ottobre 2017 le ore totali di “cig” – che lo Stato versa ai lavoratori delle imprese con produzione ferma o ridotta – sono state 36,4 milioni; nello stesso mese del 2016 erano state 43 milioni. Non è detto quindi che questo sia un segnale di ripresa, anche perché le grandi crisi sono sempre circa 160. Semplicemente, le nuove norme hanno reso più difficile per le imprese ricorrere all’ammortizzatore sociale e questo, anche secondo tecnici del ministero dello Sviluppo economico, ha complicato la gestione delle vertenze. Tra le aziende che stanno comunque facendo cassa integrazione sono presenti anche quelle grandi e note. Molti marchi storici italiani non sono garanzia di produzione regolare né di un’occupazione stabile: per decine di migliaia di lavoratori un Natale nell’incertezza.

Fiat ai box. Lo sanno molto bene gli addetti di tutto gruppo Fiat, dove gli stop and go sono molto frequenti. A partire da Melfi: ai 900 operai della Punto toccherà prima dal 18 al 30 dicembre, poi dal 22 al 27 gennaio. Per gli altri 6mila, che sono impiegati sulle linee dei Suv, avremo un blocco tra Natale a Capodanno e altri due nel primo mese del 2018. A Pomigliano ci si fermerà dal 22 dicembre all’8 gennaio; un po’ con i permessi retribuiti, un po’ con la cassa integrazione. Al polo Maserati di Grugliasco lo stop di 1.700 dipendenti avrà una prima sessione dal 18 al 29 dicembre per poi riprendere a gennaio. A Mirafiori, a settembre è stata chiesta la cassa, utilizzabile al massimo per un altro anno, per 2.100 dipendenti.

Alfa Romeo. A novembre 2016, poco prima del referendum, Marchionne e l’allora premier Matteo Renzi avevano promesso 1.800 nuove assunzioni entro il 2018 all’Alfa Romeo di Cassino. A marzo 2017 sono arrivati solo 830 interinali, ma a novembre sono stati riconfermati solo in 300. In questo caso, non è stata necessaria la cassa integrazione per far fronte alla riduzione dei volumi: è bastato non rinnovare i precari. Questo continuo singhiozzo nel mondo Fca spaventa i sindacati che non ripongono fiducia negli annunci della proprietà. “È necessario un nuovo piano che aumenti i modelli e rinnovi quelli già in produzione”, hanno spiegato i metalmeccanici della Cgil.

Acciaio fuso. La vertenza Ilva resta forse la più importante e proprio per Taranto e gli altri siti italiani sono appena stati stanziati 24 milioni per la nuova cassa integrazione. I 14 mila lavoratori sono in attesa. L’Arcelor Mittal, acquirente delle fabbriche, non sembra disposta a riassumerli tutti. Il conflitto istituzionale tra governo e Regione Puglia – quest’ultima ha fatto ricorso contro il piano ambientale – ha complicato le trattative. In stallo totale sono anche le acciaierie ex Lucchini di Piombino. Nel 2015 gli algerini di Cevital avevano promesso a 2.200 lavoratori un rilancio poi rivelatosi fasullo. Il governo ha appena rescisso il contratto con la società e ora cerca nuove imprese interessate. Intanto, anche qui, la produzione è ferma e gli operai sono in cassa integrazione sperando che il 2018 porti una nuova proprietà che faccia ripartire le linee. “Gli ammortizzatori sociali arrivano fino a dicembre del prossimo anno – spiega Davide Romagnani della Fiom – il governo ci dica quanto ancora dovremo aspettare”.

Bacio amaro. La storica fabbrica del Bacio Perugina a San Sisto (Perugia) sta invece continuando a funzionare, ma l’azienda ha dichiarato 364 esuberi (proponendo la ricollocazione in altre zone dell’Italia). Un accordo sindacale di ottobre 2016 prevede la cassa a rtotazione fino a giugno 2018 per gli 820 operai. “Speriamo di poterla prorogare altri 12 mesi – dice Michele Greco, Flai Cgil – per dare all’azienda il tempo per fare investimenti e ritirare gli esuberi”.

Volare basso. L’inizio del 2018 sarà decisivo anche per l’Alitalia. Si attende di capire chi la comprerà e in che modo. Oggi i dipendenti sono più di 11mila, con circa 1.800 attualmente in cassa integrazione. Naturalmente, vista la fase così delicata, l’incertezza di quello che accadrà riguarda tutti. Anche la Natuzzi, storica azienda pugliese che esporta divani in tutto il mondo, è alle prese da anni con riorganizzazioni. Un accordo del 7 dicembre con i sindacati ha permesso di evitare 170 licenziamenti. Questi addetti torneranno a gennaio in azienda, dove comunque partiranno cassa e contratti di solidarietà.

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